La stagione 2018-19 apre il prossimo 2 dicembre – con repliche fino al 18 dicembre – con un grande classico: Rigoletto di Verdi, nell’interpretazione musicale di Daniele Gatti, per la regia di Daniele Abbado.
Cupo dramma di passione, tradimento e vendetta, Rigoletto forma con Il trovatore e La traviata la cosiddetta “trilogia popolare” verdiana. Centrata sulla drammatica figura del gobbo buffone di corte, l’opera è – parafrasando Daniele Gatti – un profondo studio sull’uomo. La questione della deformità si lega indissolubilmente alla colpa, rimandando alla millenaria contrapposizione tra bruttura come disarmonia e sproporzione morale opposta all’ideale di perfezione fisica come simmetrica concordanza con un ordine naturale. “Verdi era affascinato dall’arcaico – spiega il Maestro Gatti – come in Macbeth era affascinato dalla magia. Rigoletto è storpio, e a quel tempo avere una malformazione voleva dire essere segnati fin dalla nascita da colpe che i genitori avevano commesso; Rigoletto porta colpe non sue. La vera maledizione è l’aver portato agli estremi un uomo che arriva a concepire un assassinio”. E la deformità del buffone verdiano da un mondo arcaico arriva fino ai giorni nostri, articolandosi nella scissione della coscienza moderna, perché “Il mistero di Rigoletto – riflette Daniele Abbado – nasce dalla contraddizione di un uomo che coltiva disprezzo e aggressività verso il mondo esterno, mentre esercita una protezione morbosa verso i propri affetti privati. Questa la deformità di Rigoletto, anzitutto una deformità interiore. Questa la sua maledizione. Inutile sottolineare quanto questo, oggi, ci riguardi”. L’attualità dell’opera, dunque, risuona nei suoi temi più profondi, che non a caso Daniele Abbado definisce “di ascendenza shakespeariana”, e come in Shakespeare si sconfina nell’allucinazione. Nell’oscillare costante dell’animo di Rigoletto tra due poli vediamo riflessa la coppia di personaggi che fanno da innesco alla tragedia: “Se il Duca è l’archetipo del libertino – argomenta Daniele Gatti – Gilda rappresenta la virtù. La sua purezza, l’innato senso materno che ha per il padre. Il Duca è colpito dalla sua semplicità, si finge studente e povero per potersi avvicinare a lei, a quella moralità. C’è un mondo sotterraneo: di Gilda, dello studente, del povero. È il sentimento puro con un valore. Ed è come se confluissero in Rigoletto quelle due anime: del Duca e di Gilda. Così come il Duca è deforme nella sua concezione dell’amore, ed è lo scheletro di Rigoletto, Gilda è il suo cuore di padre”.
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