A febbraio, dal 18 al 29, sulle scene del Costanzi arriva un gioiello della musica e della letteratura russe, Evgenij Onegin di Čajkovskij, ispirato all’omonimo romanzo in versi di Aleksandr Puškin e affidato a due giganti del teatro musicale di oggi molto amati dal pubblico del Teatro dell’Opera: James Conlon sul podio e Robert Carsen che ripropone l’allestimento, ormai divenuto storico del capolavoro di Čajkovskij, creato nel 1997 per il Metropolitan Opera di New York. Scene e costumi sono di Michael Levine, luci di Jean Kalman. Nel ruolo del titolo Markus Werba. Maria Bayankina è Tat’jana, Yulia Matochkina è Ol’ga. Negli altri ruoli maschili Saimir Pirgu (Lenskij), John Relyea (Gremin) e Andrea Giovannini (Triquet). Anna Viktorova è Filipp’evna, Irida Dragoti e Andrii Ganchuk del progetto “Fabbrica”, sono Larina e Zareckij.
L’allestimento si mostra con tutta la sua carica di fascino nostalgico. Le atmosfere evanescenti in sintonia con l’amore per l’autunno dello stesso Puškin, sono dominate infatti dal rosso, dal giallo dorato che richiamano il tipico foliage delle foreste russe. Al centro di questo spaccato della Russia dell’Ottocento tre storie d’amore irrealizzabili. Il giovane poeta Lenskij ama la volubile Olga, la fanciulla semplice e pura Tat’jana ama il dandy Onegin che, inizialmente disinteressato alla donna finisce ormai maturo per innamorarsene quando ormai si è trasformata da umile ragazza di campagna in una nobile dama della corte pietroburghese. Robert Carsen trasforma quello che viene definito “una enciclopedia della vita russa” in un allestimento minimalista che ne esalta ancora di più il profondo scandaglio psicologico, dominato dai colori che via via dai toni caldi autunnali dell’inizio giungono a un blu indaco fino al grigio lattiginoso del finale tracciando un percorso che segna la linea della vita stessa.
Nel maggio del 1877, la cantante d’opera Elizaveta Lavrovskaja propose a Čajkovskij di creare un’opera basata sull’Evgenij Onegin di Puškin. Il compositore, seppur inizialmente poco convinto del lavoro, vi si dedicò poi con grande coinvolgimento. Čajkovskij denominò l’opera come scene liriche: l’opera si presenta infatti come una serie di episodi della vita di Onegin, storia ben nota al pubblico russo che avrebbe potuto facilmente ricostruire i dettagli da lui omessi. Alla fine decise quindi di intitolare la sua opera alla stessa maniera del romanzo di Puškin, nonostante il fulcro drammaturgico fosse il personaggio di Tat’jana preponderante rispetto al tormentato Onegin.
Roma, 22 gennaio 2020