Eroine che muoiono. Puccini, l’Opera e le donne

di Alexandra Wilson

Traduzione di Valentina Rapetti

Il seguente saggio è pubblicato integralmente da Calibano #1 – Madama Butterfly/L’Orientale

Le morti femminili sono un luogo comune nell’opera lirica: nel repertorio italiano ottocentesco, è difficile individuare una trama che non finisca con la morte di una donna. Il pubblico dell’epoca percepiva il numero cospicuo di vittime come parte di una convenzione teatrale secolare ereditata dalla tragedia, o sapeva che le opere spesso sono adattamenti di testi letterari di grande successo. 

A partire dagli anni Settanta, l’opera lirica è diventata campo d’indagine della critica femminista. In L’opéra ou la défaite des femmes (1979), la scrittrice francese Catherine Clément ha elaborato una riflessione sui motivi che ci inducono a guardare, ricavandone un certo piacere, “lo spettacolo infinitamente ripetitivo di una donna che muore”. Nell’osservare il mondo dell’opera dalla prospettiva di una studiosa di letteratura, Clément ha notato che la ricorrenza delle morti femminili – e il fatto che il pubblico le trovasse normali, anziché sconvolgenti – fosse decisamente problematica. Basata su un corpus di oltre trenta opere, l’analisi di Clément ha messo in evidenza i dati oggettivi, brutali, desumibili dalle trame, fornendo un elenco dettagliato di pugnalate, avvelenamenti, suicidi e strangolamenti; secondo Clément, la bellezza della musica esercita un effetto anestetizzante sullo spettatore, impedendogli di vedere gli abusi, le prepotenze e le prevaricazioni che le donne subiscono davanti ai suoi occhi. Diverse generazioni di studenti di musica si sono confrontate con i meriti e le criticità della tesi sostenuta da Clément, chiedendosi se i compositori che hanno affrontato il tema della violenza maschile sulle donne la appoggiassero o meno.

In tempi più recenti, molti sono giunti alla conclusione che la risposta a questa domanda sia un sì convinto. Il tema della crudeltà inflitta ai personaggi femminili nell’opera lirica è uscito da un ambito puramente accademico per raggiungere il grande pubblico – se ne discute durante gli incontri che precedono gli spettacoli e perfino nei quotidiani. In un’epoca ossessionata dalle politiche identitarie ed estremamente attenta alle questioni legate alla rappresentazione culturale, opere canoniche a lungo ritenute inoffensive improvvisamente suscitano indignazione, vengono passate al vaglio e considerate difettose per l’immagine che forniscono del genere, così come della razza e dell’imperialismo. 

Sempre più spesso alle compagnie viene chiesto di pronunciarsi sulla presunta misoginia delle opere che portano in scena. Ci sono stati appelli per rimuovere dai palcoscenici opere che presentano scene di crudeltà verso le donne, appelli che non provengono esclusivamente da qualche antro oscuro della rete, bensì da personalità di spicco del mondo della musica classica. Nel 2006, la nota musicologa americana Susan McClary, riferendosi a Madama Butterfly, ha scritto: “Aspetto il giorno in cui potremo mettere quest’opera in un museo di pratiche culturali bizzarre del passato, in cui finalmente sarà possibile allestire la Butterfly di Puccini come se fosse un reperto storico”.

Puccini è stato criticato in quanto compositore particolarmente sadico nei confronti dei personaggi femminili. Il suo biografo, Mosco Carner, è arrivato ad accusarlo di punire le eroine ricavandone un “piacere palesemente sadomasochista”. Scrive Carner: “È innegabile che Puccini amasse infliggere torture e sofferenze alle proprie eroine. Come possiamo spiegare la puntuale sovrapposizione di amore appassionato e impulso sadico verso le donne che caratterizza i suoi lavori?”. Carner ha provato a ricorrere alla psicologia freudiana per interpretare quella che percepiva come una costante nel repertorio pucciniano. A suo avviso, le scelte artistiche del compositore erano motivate sia da una commistione di amore e odio verso il proprio lavoro che lo portava a uccidere le creazioni che amava, sia da una concezione dei personaggi femminili come ‘rivali della figura materna idealizzata’. Non c’è dubbio che Puccini amasse sua madre – la donna lo aveva cresciuto da sola in seguito alla morte prematura del marito – e che fu profondamente addolorato dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1884, quando lui aveva venticinque anni. Ma psicanalizzare l’oggetto del proprio studio per poi tentare di stabilire una corrispondenza tra le speculazioni che ne derivano e il lavoro dell’artista, oggi appare un atteggiamento superato, se non addirittura discutibile. 

Con la moglie, Elvira Bontura Gemignani, Puccini aveva un rapporto turbolento, iniziato come legame extraconiugale. Elvira, infatti, era sposata con un altro uomo quando lei e Puccini andarono a vivere insieme ed ebbero un figlio. Le numerose infedeltà del compositore – alcune tramutatesi in lunghe relazioni a distanza da un continente all’altro – suscitarono la gelosia feroce di Elvira, portandola di tanto in tanto ad aggredire fisicamente il marito o a perseguitare le donne di cui era gelosa, con conseguenze tragiche in una circostanza specifica. Le vessazioni inferte a una giovane donna di servizio di casa Puccini, che Elvira erroneamente riteneva essere l’amante del marito, spinsero la ragazza al suicidio. Puccini, tuttavia, non odiava le donne. Ne è dimostrazione la lunga e feconda relazione platonica con l’amica inglese Sybil Seligman. I due intrattennero una fitta corrispondenza in cui discutevano di progetti in fieri, scelte artistiche, infelicità domestiche e argomenti futili. La quantità di relazioni extraconiugali di Puccini può risultare sconcertante, ma cedere alla tentazione di usarle come prova che le sue opere costituiscano una sorta di manifesto della misoginia sarebbe fin troppo riduttivo.

Analizziamo le opere per ciò che sono. Quasi tutte le eroine di Puccini muoiono, così come alcuni dei suoi eroi; nulla di diverso accade nei capolavori di qualsiasi altro compositore italiano dell’Ottocento. A dire il vero, il fatto che Puccini abbia scritto un’opera importante La fanciulla del West (1910) – in cui l’eroina, anziché morire, si avvia verso una vita migliore sullo sfondo di un tramonto, rappresenta uno scarto dalla norma. Nelle opere di Giuseppe Verdi, più di un’eroina viene uccisa da un uomo, per non parlare delle tante vittime femminili nei lavori veristi di fine Ottocento ispirati a femminicidi riportati nella cronaca nera o nella stampa scandalistica. Considerato il contesto in cui Puccini lavorava, è notevole che solo una delle sue eroine muoia per mano di un uomo, Giorgetta de Il tabarro, uccisa insieme all’amante Luigi dal marito Michele, proprietario di un barcone, dopo che questi ne scopre l’infedeltà.    

È pur vero che la maggior parte dei suicidi nelle opere pucciniane sono causati, seppur indirettamente, da azioni compiute da personaggi maschili. In Le villi, Anna muore di pene d’amore; in Turandot, Liù sacrifica la propria vita per il bene di un uomo che non merita un gesto simile; in Madama Butterfly, Cio Cio-san viene abbandonata e tradita dal protagonista Pinkerton – di certo non un eroe – il quale riesce a convincerla che l’unica scelta possibile per salvare l’onore sia togliersi la vita. Puccini aveva una predilezione particolare per le sue cosiddette ‘piccole donne’ – eroine innocenti, dal cuore puro, che amano intensamente, spesso invano, e che per questo vengono punite. Forse è stato questo elemento a renderlo il compositore ‘sadico’ per eccellenza nell’immaginario collettivo: il fatto che le vittime nelle sue opere siano donne miti (sebbene anche Gilda nel Rigoletto di Verdi lo sia) ed estremamente sensibili.

Ovviamente nelle opere di Puccini troviamo anche altri tipi di morte, causati in modo meno diretto da azioni compiute da uomini, ma anche in questi casi spesso c’è un personaggio maschile che si aggira sullo sfondo. L’arresto e la conseguente caduta di Manon Lescaut possono essere interpretati come conseguenza della sua leggerezza nel fermarsi a recuperare i gioielli, ma in effetti il suo destino è tracciato nel momento in cui il fratello la ‘vende’ a un uomo più grande che la considera di sua proprietà. Tosca si suicida gettandosi nel vuoto perché stretta all’angolo dai gendarmi che la inseguono, ma questa situazione senza via d’uscita ha origine da un tentativo di stupro cui lei si è sottratta. Il suicidio di Suor Angelica scaturisce dal dolore provocatole dalla notizia della morte del figlio, eppure c’è una sorta di abbandono romantico riconducibile all’antefatto.  

La bohème è l’eccezione alla regola. Come Violetta ne La traviata di Verdi, Mimì muore per cause naturali – un caso di pura e semplice sfortuna. Il contesto sociale di appartenenza può essere considerato un fattore determinante, giacché la povertà, il sovrappopolamento e la malnutrizione aumentavano le probabilità di contrarre la tubercolosi. Forse se lei e Rodolfo non si fossero lasciati lui avrebbe potuto tenerla al caldo e al sicuro, ma le condizioni di vita del giovane non erano tanto migliori, e nell’opera lui e Mimì si lasciano di comune accordo. Sebbene alcuni studiosi abbiano provato a dipingerlo come un uomo controllante, Rodolfo è più verosimilmente un immaturo, ed è chiaro che ami profondamente Mimì.

La sofferenza femminile non è il tema centrale dell’opera comica Gianni Schicchi e, come si confà a un lavoro corale, i personaggi femminili hanno lo stesso potere di quelli maschili. Puccini sembra rivolgere uno sguardo ironico alle eroine dei lavori precedenti – come a volerli parodiare – quando la protagonista Lauretta rigira il padre a suo piacimento minacciando con studiata teatralità di gettarsi nell’Arno. L’operetta La rondine si conclude con una separazione romantica, ma l’azione è condotta, piuttosto che subita, dall’eroina.

Se la morte femminile era una convenzione diffusa nell’opera italiana di fine Ottocento e inizio Novecento, la drammaticità della tecnica musicale usata da Puccini è forse l’elemento che più di tutti gli è valso l’accusa di crogiolarsi nella sofferenza delle sue eroine. Puccini, infatti, è stato spesso additato come un compositore manipolatorio. C’è una costante che percorre tutta la storia della ricezione del suo repertorio; dai suoi giorni ai nostri, si è sempre ritenuto che le opere pucciniane, per quanto ci si sforzi di resistere, commuovano fino alle lacrime, e che lo facciano in modo calcolato. Dal punto di vista drammaturgico, sceglieva temi che colpivano dritto al cuore; musicalmente, le sue partiture toccano gli stessi tasti delle colonne sonore di Hollywood.

Puccini è riuscito a usare la musica in modo da portare l’intensità emotiva dell’opera a livelli mai raggiunti prima. Ha reso le sue arie inconfondibili nel loro incedere verso un picco emotivo: il tipico inizio esitante, le frasi frammentate che precedono il crescendo verso un ardore implacabile, colmo di passione.  La voce intraprende una lunga ascesa, accompagnata dall’orchestra, ed è amplificata dagli archi sull’ottava. Una tecnica simile espande la tessitura musicale, consentendo alla voce di librarsi e generando l’illusione che il personaggio metta la propria anima a nudo.

Puccini usa la stessa tecnica per i ruoli maschili e femminili, per esprimere gioia e dolore, ma la impiega con effetti devastanti quando un personaggio si trova di fronte alla morte. Per esempio, l’aria di Manon ‘Sola, perduta, abbandonata’ inizia in modo austero, scarno, sintomatico dello sfinimento dell’eroina, per poi montare in un tripudio passionale di voce e orchestra man mano che l’ansia e la disperazione dell’eroina aumentano. In quel momento, è come se fossimo nel deserto con Manon, completamente trafitti e rapiti dal suo strazio. Siamo di fronte all’esternazione di una fantasia sadica o semplicemente a un colpo di genio artistico? 

C’è qualcosa di melodrammatico e di consapevolmente teatrale in una morte come quella di Tosca, qualcosa che genera un distacco emotivo nello spettatore. In Turandot, la morte di Liù contiene un elemento grottesco che provoca un effetto simile; l’ambientazione fiabesca, remota, dell’opera, e l’astrazione meccanica che la pervade, generano un senso di straniamento. Le opere del repertorio pucciniano che fanno più leva sui sentimenti sono La bohème, Suor Angelica e Madama Butterfly; caratterizzate da una profonda umanità e da un forte realismo, le tre opere portarono in scena personaggi talmente comuni da consentire un livello di immedesimazione del tutto nuovo all’epoca in cui debuttarono. E in tutte e tre, la sofferenza e la morte delle eroine derivano da circostanze profondamente ingiuste. In Suor Angelica e Madama Butterfly le eroine vengono gettate in uno stato di disperazione insostenibile. Puccini gira il dito nella piaga usando il tema della perdita del figlio, ma ciò che rende le due opere particolarmente devastanti è la capacità unica del compositore di scavare nella psiche dei personaggi.

Madama Butterfly è forse l’opera più difficile da guardare, tanto per le spettatrici quanto per gli spettatori, e non sorprende che Clément le dedichi un’attenzione particolare nel capitolo del suo libro dedicato alle morti nell’opera lirica. Chiunque sia stato abbandonato da un amante – o meglio, chiunque non abbia un cuore particolarmente indurito – si contorcerà nella poltrona assistendo alla scena dilaniante della povera Cio Cio-san che attende con ingenuo ottimismo il ritorno dell’insensibile Pinkerton, con tanto di moglie legittima al seguito. Come se non bastasse, quest’opera è percorsa da una vena oscena assente in lavori come La bohème, o declinata in modo diverso in Tosca, dove pure si assiste a una scena di tortura, a un plotone di esecuzione e a una tentata violenza sessuale. In Madama Butterfly, infatti, il pubblico si confronta con lo sfruttamento sessuale di una minore: in una battuta nel primo atto che fa trasalire gli spettatori dall’udito fine, Cio Cio-san rivela orgogliosamente di avere quindici anni. Il fatto che il pubblico sia di fronte a un caso di squallido turismo sessuale è stato esplicitato in diverse produzioni che hanno spostato l’azione drammatica dalla fine dell’Ottocento a periodi più recenti.

Alcuni ritengono che usare una musica meravigliosa per nobilitare una trama tanto sordida vada ben oltre il cattivo gusto e la mancanza di pudore. Il sublime duetto d’amore in Madama Butterfly lascia ben poco all’immaginazione, con ondate e impennate melodiche che sembrano salire sempre più in alto. Per sedurre l’ascoltatore, Puccini ha tratto ispirazione dal famoso duetto erotico del Tristan und Isolde di Richard Wagner, usando armonie cromatiche che creano una luminosità sensuale, inserendo le voci in una ricca partitura orchestrale, indugiando in modo suggestivo attorno a un’idea di musica ripetendola sempre più intensamente, e soprattutto posticipando a lungo la risoluzione armonica per un tempo di circa quindici minuti. La musica è al tempo stesso sensuale e intensamente romantica. È in questo momento che il fraintendimento cruciale e tragico tra Pinkerton e la sua nuova moglie viene catturato in modo più efficace. 

Questo tipo di musica è così ammaliante che vorremmo non finisse mai, a prescindere dal contesto in cui viene suonata e dalle situazioni vissute dai personaggi, siano esse gioiose o penose. La durata di alcune scene di morte del repertorio pucciniano è effettivamente straziante, sebben vi siano delle eccezioni: Mimì muore in modo talmente veloce e discreto che nessuno sul palcoscenico se ne accorge. In un breve saggio comparso nel programma di sala di una recente produzione di Manon Lescaut alla Royal Opera House di Covent Garden, John Snelson ha condiviso un’osservazione acuta: ‘Ecco una scena che giustifica il senso di colpa che si prova nel godere di questa musica: qui, infatti, Puccini ci induce a sperare che la sofferenza palese provata dal personaggio si protragga’.

Eppure, nonostante ciò, non si ha l’impressione che Puccini e i suoi librettisti approvino il modo in cui Cio Cio-san viene trattata in Madama Butterfly. L’essenza del dramma sta nel contrasto tra la sua dignità di giovane donna costretta a crescere troppo in fretta e la meschinità delle azioni turpi di Pinkerton. Puccini delinea in modo magistrale il ritratto psicologico del personaggio, lasciando che lo spettatore si immedesimi nella lunga e sofferta attesa, rallentando l’azione drammatica al punto da creare l’illusione che il tempo scenico dell’interminabile veglia notturna coincida col tempo reale. È una scena dolorosa da guardare, ma l’effetto è voluto.

Secondo i detrattori, Puccini indugia eccessivamente sulla sofferenza di Madama Butterfly; una lettura più ottimistica ci spinge a ritenere che sia il realista scrupoloso a indugiare, forse per additare il comportamento atroce di Pinkerton. Pinkerton non è esattamente lo stereotipo del cattivo, ma non vi è dubbio che né Puccini né il pubblico si immedesimino in lui. Butterfly rimane in scena durante tutto lo spettacolo – il ruolo è una prova di forza vocale e attoriale – e Puccini usa il suo punto di vista come filtro narrativo. Pinkerton invece è un farabutto, un personaggio vuoto, con una storia di scarso interesse, che esce di scena a capo chino. 

Non c’è dubbio che le eroine di Puccini siano donne forti, talvolta addirittura aggressive. Musetta trasuda fiducia in sé stessa e domina la scena. Tosca è una donna indipendente che si guadagna da vivere e si oppone alla violenza. Minnie riesce a ritagliarsi uno spazio di autonomia in un contesto ostile e dispensa consigli e saggezza agli uomini della sua comunità. L’intelligente Lauretta sa esattamente come ottenere ciò che vuole. E con Turandot, Puccini e i suoi librettisti hanno dato vita a una protagonista femminile di indiscutibile forza, sebbene il fatto che finisca col cedere a Calaf dopo una strenua resistenza sia poco convincente e lasci l’amaro in bocca.  

Le cosiddette ‘piccole donne’ di Puccini non sono leziose fanciulle vittoriane che perdono i sensi o muoiono tra le braccia di un uomo. Al contrario, ciascuna di loro esprime tenacia e forza d’animo. Mimì e Musetta sono donne lavoratrici che conducono una vita indipendente. Butterfly si trasforma da bambina a donna davanti agli occhi del pubblico e dimostra di avere la capacità di autodeterminarsi quando rifiuta la proposta di matrimonio del principe Yamadori e, per quanto la sua decisione possa farci orrore, si toglie la vita nella convinzione di salvare il proprio onore. 

La decisione di ‘cancellare’ le opere di Puccini per via del modo in cui rappresentano le donne sarebbe miope. Si potrebbe, piuttosto, discutere in termini costruttivi e stimolanti delle questioni spinose che sollevano, ad esempio durante appositi incontri che preparano alla visione dello spettacolo, nei programmi di sala, o anche creativamente, attraverso nuove produzioni. Affrontare un tema penoso – un compito quasi inevitabile per un compositore di opere tragiche – non significa necessariamente approvarlo; in effetti, in lavori come Madama Butterfly funge da ammonimento. Si potrebbe dire che le opere di Puccini esprimono un’umanità e una compassione nei confronti delle donne di gran lunga superiore rispetto a tante serie televisive o film polizieschi in cui i personaggi femminili vengono sistematicamente uccisi in modo brutale, per non parlare dei videogiochi violenti o di alcune canzoni rap in cui le donne spesso vengono mutilate simbolicamente e ridotte a parti del corpo in nome dell’intrattenimento, e senza che il pubblico si ponga troppe domande. Se vogliamo condannare gli esempi peggiori di maltrattamento culturale delle donne, quelli che più verosimilmente potrebbero ispirare forme di violenza nella vita reale, allora è il caso di puntare il nostro sguardo al di là dell’orizzonte dell’opera lirica. 

Alexandra Wilson è docente di storia della musica e della cultura presso la Oxford Brooks University, ed è specialista dell’opera italiana di fine secolo e della cultura operistica nella Gran Bretagna del XX e XXI secolo. Ha scritto e pubblicato The Puccini Problem (Cambridge University Press), Opera in the Jazz Age (Oxford University Press), Puccini’s La bohème (Oxford University Press) e una nuova raccolta Puccini in Context (Cambridge University Press).

Calibano – L’opera e il mondo è la rivista del Teatro dell’Opera di Roma. Nata come spazio di approfondimento e di dibattito intorno a temi di attualità sollevati a partire dagli spettacoli in cartellone e realizzata in collaborazione con la casa editrice effequ, il progetto editoriale prevede, ogni quattro mesi, la pubblicazione e la diffusione nelle librerie italiane di un volume monografico dedicato a un titolo d’opera e a un tema ad esso collegato, attraverso la commissione di saggi, racconti e recensioni di firme autorevoli. In questo primo numero, dopo Aida/Blackface, la rivista si interroga sulle forme di fascinazione europea per il Giappone e viceversa a partire dalla celebre opera di Giacomo Puccini, Madama Butterfly. 

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*L’immagine di copertina è stata creata da Francesco D’Isa in dialogo con Midjourney