di Giuliano Danieli
La rubrica Se non ti basta è pubblicata e tratta integralmente da Calibano #2 – Mefistofele/Postumano
Diva Plavalaguna è fra i soprani più celebri della storia del cinema: a guardarla in volto sembra una donna, ma la sua pelle è blu e dal suo corpo si propagano lunghi tentacoli; pare creatura umana ad ascoltarne la voce, ma è capace di virtuosismi sovrumani. Quando il sipario si leva, canta “Il dolce suono” dalla Lucia di Lammermoor, ma su “meco t’assidi” abbandona la melodia di Donizetti per lanciarsi in vocalizzi ai limiti del possibile su una base pop-elettronica. Cosa vuol dirci Luc Besson presentandoci questo personaggio e inserendo questa singolare performance canora – della durata di ben cinque minuti – ne Il quinto elemento (1997)? Cosa c’entra l’Opera con le eccentriche ambientazioni fantascientifiche del film? Besson suggerisce che sussista un legame fra l’assurda stranezza, la trascendentale difficoltà e la totale artificiosità dell’Opera come genere artistico, e l’universo postumano de Il quinto elemento. Questa suggestione dovette colpire il pubblico degli anni Novanta, se è vero che la performance di Diva Plavalaguna è fra i momenti più celebri del film. Ma appare ancor più stimolante oggi, in un momento in cui si vanno moltiplicando i discorsi, le visioni e le esperienze intorno al postumano, a tal punto che con questa parola si indicano teorie e fenomeni di segno assai diverso, alcuni dei quali ben rappresentati in questo numero di Calibano.
Esistono quindi molti modi di esplorare il rapporto fra Opera e postumano, il più banale dei quali consiste nel focalizzarsi sui soggetti di alcuni libretti. Possono essere interpretate come postumane non soltanto il Mefistofele di Boito e le altre creazioni legate al mito di Faust nelle sue varie declinazioni (come Faust di Ludwig Spohr [1816]; La Damnation de Faust di Hector Berlioz [1846]; Faust di Charles Gounod [1859]; Doktor Faust di Ferruccio Busoni [1925]; Historia von D. Johann Fausten di Alfred Schnittke [1995]; Faust, the Last Night di Pascal Dusapin [2006]), ma anche opere come Frankenstein di Mark Grey (2019), ispirato al prometeico romanzo di Mary Shelley; L’affare Makropulos di Leoš Janáček (1926), che riflette sulla perdita d’identità e di volontà come conseguenza dell’annullamento del più grande limite umano, la morte; o La piccola volpe astuta dello stesso autore (1924), in cui alcuni hanno individuato una disgregazione dei confini fra regno umano e animale.
A istituire un legame fra opera e postumano può contribuire anche una dimensione non verbale come la messinscena. L’esempio più evidente viene da La Fura dels Baus, collettivo catalano divenuto da metà anni Novanta un fenomeno mondiale della regia lirica. Molti spettacoli della Fura indagano e mettono in crisi i confini dell’umano, esplorando i rapporti fra uomo e tecnologia, uomo e ambiente, corpi e macchine. Non sorprende che la Fura si sia imposta in campo operistico proprio grazie ad una produzione ipertecnologica e visionaria de La damnation de Faust (1999, Salisburgo), dove si verifica la fusione di Faust, Mefistofele e Margherita in una nuova, fantascientifica creatura (La damnation ha costituito per il collettivo il secondo capitolo di una riflessione sul testo di Goethe iniziata con la piéce F@aust 3.0 [1997] e poi proseguita con il film Fausto 5.0 [2001] e l’opera Faust 5.1 da Gounod [2018]). Fra gli spettacoli iconici della Fura vi è anche D.Q. Don Quijote (2000, Barcellona), creazione contemporanea su musiche di J. Luis Turina che reinterpreta futuristicamente il mito di Don Chisciotte attraverso una narrazione non lineare che altera la percezione dello spazio e del tempo, dei limiti fra reale e virtuale. La Fura restituisce un ritratto di Don Chisciotte molteplice e instabile, ne decostruisce l’identità, dilata e disintegra i confini della sua umanità. Meno estremo il Ring creato per Valencia e Firenze (2007), che tuttavia appare legato al postumano per l’immaginario cyber (è un tripudio di corpi fra l’umano e il robotico), il messaggio ecologista e la riflessione sulla crisi dell’umanità, un repertorio di idee e immagini che riaffiora in tante produzioni successive firmate soprattutto da Alex Ollé e Carlus Padrissa, divenuti nel tempo i veri frontmen del collettivo (ad esempio: Les troyens di Berlioz [2009, Valencia], Sonntag aus Licht di Karlheinz Stockhausen [2011, Colonia], Aida di Giuseppe Verdi [2013, Verona], Elektra di Richard Strauss [2014, Umeå], T.H.A.M.O.S. su musiche di Wolfgang Amadeus Mozart [2019, Salisburgo]). Sulla scia della Fura si inserisce anche il lavoro di altri artisti dediti alla messincena operistica, come il collettivo russo AES+F che, con Fabio Cherstich, ha allestito nel 2019 una Turandot di Puccini ambientata – nelle parole del regista – «in una società dominata dal cyber-matriarcato e dall’intelligenza artificiale». E ben oltre si è spinto Jay Scheib, che ha firmato a Bayreuth un recente e controverso Parsifal di Wagner, realizzato con l’ausilio della realtà aumentata per creare un universo post-apocalittico generato dallo scompenso fra uomo e natura.
È però forse sul piano sonoro (ammesso che si possa e abbia senso isolarlo dal resto) che il legame fra opera e postumano emerge nella maniera più interessante e sorprendente. La musicologa Jelena Novak è fra le poche studiose ad essersi occupata dell’argomento. In Voices beyond Corporeality: Towards the Prosthetic Body in Opera (2012) ha appuntato la sua attenzione su One di Michel van der Aa, opera da camera per soprano, video e soundtrack del 2003: in essa la protagonista Barbara Hannigan interagisce con un suo doppio proiettato su uno schermo e con la sua stessa voce registrata, riprodotta e manipolata elettronicamente, con sincronie e asimmetrie, sovrapposizioni e scivolamenti che portano al graduale sfaldarsi della percezione dei limiti fra la sua performance live e quella registrata, fra l’umano e il tecnologico, fra il naturale e l’artificiale, fra palcoscenico e schermo. Secondo Novak, One ci trasporta in un universo in cui l’identità di Barbara Hannigan è messa in discussione, il suo corpo e la sua voce esplodono e si mescolano a un corpo e una voce protesici, “tecnologicamente aumentati” – quelli della Hannigan in video. Un universo, potremmo dire, postumano, come quello che si ritrova in tante altre opere di van der Aa: After-Life (2006), Upload (2021), Sunken Garden (2018) e The book of Water (2022) sono solo alcuni lavori del compositore olandese in cui emergono preoccupazioni postumane legate all’eternità e alla resurrezione, alla memoria e alla sopravvivenza digitale della coscienza oltre i limiti della corporeità, alla perdita di identità, al superamento dell’antropocentrismo e alla fine dell’Olocene, alla dialettica fra uomo e ambiente. Altri esempi ascrivibili a un pensiero postumano – come Three Tales di Steve Reich e Beryl Korot (2002) o Voci di Pamela Z (2003) – vengono discussi da Novak in Postopera: Reinventing the Voice-Body (2015) e G Douglas Barrett in Experimenting the Human: Art, Music, and the Contemporary Posthuman (2023), studi da cui emerge una tendenza della musica e del teatro musicale postumani a relativizzare e ripensare, soprattutto tramite il concorso della tecnologia, quelli che a lungo sono stati ritenuti i tratti essenziali e i confini dell’uomo, a partire dal rapporto univoco fra corpo e voce. In altri termini, la tecnologia permette di estendere confini e facoltà del corpo cantante, e quindi di destabilizzare preesistenti concezioni dell’umano e del suo rapporto col mondo.
Il postumano si manifesta anche nella tendenza di alcune performance operistiche contemporanee a costruire un’inedita rete di relazioni fra l’al-di-qua e l’al-di-là. Un esempio lo si ritrova nel duetto “postumo” (come l’ha definito Carlo Cenciarelli in The Limits of Operatic Deadness, 2016) fra Angela Gheorghiu e Maria Callas: in una bonus track di Homage to Callas, album di Gheorghiu del 2011, il soprano rumeno canta l’Habanera della Carmen di Bizet intrecciando la sua voce a quella di una registrazione (manipolata) di Callas del 1961. Il video della performance, in cui si vede Gheorghiu circondata da schermi dov’è proiettata l’immagine di Callas, crea uno spazio condiviso fra i due soprani e rinforza l’idea di un dialogo ideale fra vivi e morti, fra liveness e deadness, fra umano e post-umano. Alcuni elementi di quest’esperienza si ritrovano in Opera (QM.15) (2016) di Dominique Gonzalez-Foerster, che tramite l’impiego di un ologramma sincronizzato con la voce registrata di Maria Callas crea l’impressione di un’apparizione fantasmatica del celebre soprano; o in 7 Deaths of Maria Callas (2020) di Marina Abramović, in cui a tratti Marina sembra diventare Maria, e viceversa. Il fatto che proprio la figura di Maria Callas, simbolo per eccellenza dell’arte lirica, abbia ispirato esperienze come queste la dice lunga su quanto forte sia il potenziale postumano dell’opera. Non è escluso che nuovi supporti tecnologici e l’affinamento dell’intelligenza artificiale e dell’universo digitale potranno un giorno permettere ad un avatar della Callas di impersonare nuovi ruoli, cantare in nuove opere: le potenzialità della realtà aumentata, della realtà virtuale e, soprattutto, del Metaverso applicati all’opera appaiono ancora per lo più inesplorate, promettenti e inquietanti a un tempo.
Giuliano Danieli ha conseguito un dottorato in Musicologia presso il King’s College London, ed è attualmente assegnista di ricerca e docente presso l’Università “La Sapienza” di Roma, dove si occupa di intersezioni fra opera e cinema. Lavora anche come social media manager e videomaker presso il Teatro dell’Opera di Roma.
Calibano – L’opera e il mondo è la rivista del Teatro dell’Opera di Roma. Nata come spazio di approfondimento e di dibattito intorno a temi di attualità sollevati a partire dagli spettacoli in cartellone e realizzata in collaborazione con la casa editrice effequ, il progetto editoriale prevede, ogni quattro mesi, la pubblicazione e la diffusione nelle librerie italiane di un volume monografico dedicato a un titolo d’opera e a un tema ad esso collegato, attraverso la commissione di saggi, racconti e recensioni di firme autorevoli.
Potete acquistare “Calibano” sul sito di effequ a questo link, in libreria e presso lo shop del Teatro dell’Opera di Roma.
*L’immagine di copertina è stata creata da Merzmensch in dialogo con Midjourney e DALL-E 3