Miti, eroi, superpoteri e superproblemi
di Marco Montanaro
La seguente rubrica è tratta integralmente da Calibano #5 – Simon Boccanegra/Il potere, in vendita sul sito del Teatro dell’Opera di Roma, di effequ e nelle librerie dal 27 novembre 2024
Sostiene Roberto Calasso nel suo La letteratura e gli dèi (Adelphi, 2001) che l’uomo moderno ha esiliato il divino nella letteratura e nella finzione, sottraendolo alla fede e alla religione. Incapace di costruire altari e intonare canti e preghiere, ha finito col consumare il rito nelle storie, allontanando gli dèi dalla terra e relegandoli nel cielo del racconto, a volte della superstizione. Ma sia la sparizione che il ritorno degli dèi conoscono andamenti circolari: adorando antiche rovine, torniamo pian piano ad attizzare il fuoco delle imprese eroiche del passato, perché sia più sostenibile la catastrofe del presente e l’incertezza del futuro.
Si può quindi ipotizzare che fossero romantici adoratori di vecchie rovine anche i moderni Schlegel del fumetto supereroistico novecentesco: ad esempio Jerry Siegel e Joe Shuster con Superman (1938), Bob Kane e Bill Finger con Batman (1939), o ancora prima Lee Falk e Ray Moore con gli antesignani Mandrake (1934) e The Phantom (1936), senza dimenticare Suzuki Ichiro e Takeo Nagamatsu, che con Ōgon Batto (Il pipistrello dorato) diedero vita già nel 1930, in Giappone, al primo supereroe con superpoteri.
È tuttavia in seguito, con la Marvel Comics di Stan Lee (e di un nutrito gruppo di autori e disegnatori), in particolare a partire dai Fantastici Quattro (1961) e poi con le avventure di Avengers, Spider-Man e X-Men, che il mito del supereroe viene canonizzato, al netto di numerosi cambi di registro, tono e costumi, cristallizzandosi nell’idea del moderno supereroe con superproblemi che evidentemente ha fatto breccia nell’immaginario e nella cultura popolare a cavallo del nuovo millennio. L’idea non solo che da grandi poteri derivino grandi responsabilità, com’è ormai noto a un pubblico pressoché globale, ma che il superpotere stesso sia una sorta di mutilazione: mentre regala la possibilità di compiere imprese eroiche, impedisce una biografia normale e anzi inchioda l’eroe a una vita di sacrifici – in cui tutto, dalla dimensione privata fino agli affetti, è appunto sacrificabile sull’altare del mandato semidivino, ricevuto quasi per caso e sempre per sfortuna, di salvare la Terra o addirittura l’universo intero da minacce di ogni sorta.
Ma di tutta l’epopea di questi moderni miti, mai comunque elevati a estasi del sacro, della fede o della religione (forse solo a bussola morale per alcuni), la parte meno interessante è proprio quella del confronto con le minacce esterne. Se c’è un motivo per cui il superpotere continua a conquistarci, approdando anche nelle vite di chi non ha mai toccato un fumetto in vita sua (grazie, principalmente, al successo dell’Universo Cinematografico Marvel), è per le crepe che appunto comporta a livello interiore. È su quel piano che ci specchiamo nei supereroi come nei miti del passato: nell’ipotesi che quel prefisso sia in realtà una diminuzione, una castrazione della biografia degli eroi, che li avvicini a noi fino a consentire un certo grado di identificazione.
A conti fatti, Superman non è che un alieno scambiato per una divinità onnipotente che deve adattarsi alla vita civile sul pianeta Terra; Capitan America un residuato di propaganda bellica sopravvissuto a un’altra epoca edificata su ben altri ideali di patriottismo; il popolarissimo Spider-Man, anche da adulto, un ragazzino continuamente costretto a misurarsi con un gigantesco senso di colpa; e se Batman (tra i pochi ‘super’ sprovvisti di superpoteri) è per metà un geniale detective, per l’altra si rivela un picchiatore psicopatico che non ha ancora risolto i suoi terribili traumi infantili di violenza e sopraffazione.
Sono insomma le vicende più umane che li caratterizzano a renderci prossimi questi eroi. Il peso che portano non è tanto riuscire a tenere insieme l’universo quanto riuscirci essendo sé stessi e non altri, restando cioè esseri assai perfettibili nonostante il dono ricevuto, in questo richiamando archetipi e assoluti che da sempre si accordano con la nostra radice più ancestrale: ammiriamo Orfeo per la bellezza del canto, ma è quando si volta a cercare Euridice che ci parla davvero.
E così Tony Stark/Iron Man può certamente ricordare il contemporaneo Elon Musk o qualsiasi altro carismatico CEO di un’azienda tecnologica occidentale, ma al tempo stesso è Narciso e in quanto tale drammaticamente inchiodato – specie nella versione cinematografica interpretata da Robert Downey Jr. – all’amore per sé, faccenda non meno problematica della sfida con il Dottor Destino o altri avversari (a meno che lo stesso Stark non diventi Destino…). Reed Richards, se richiama il geniale Dedalo che inventò i primi automi della Storia, il labirinto e le ali per fuggirlo con suo figlio (Franklin Richards?) fino al sole, è pur sempre l’assente pater familias della disfunzionale famiglia dei Fantastici Quattro. Ancora, in Hulk, novello Ḫumbaba o Minotauro, rivediamo la nostra natura più animalesca e mostruosa; mentre la storia della Fenice Nera, che si manifesta con tutta la potenza creatrice e devastatrice di una divinità ctonia e selvatica femminile (la stessa delle Madonne di miracoli e leggende fondative di tante città italiane, a loro volta varianti cattoliche delle più antiche Venere, Diana, Selene o Proserpina), rappresenta, a livello umano, una tragica vicenda di sofferenza psichica e di sdoppiamento della personalità.
Da più parti ultimamente si parla di una stanchezza da parte del pubblico verso i supereroi e anche verso il cinema che ne racconta gesta e avventure tra miliardari investimenti di marketing e clamorosi colpi di scena dentro e fuori dallo schermo. Non è da escludersi che questa stanchezza costringa prima o poi i produttori a rivedere i propri piani (e il pubblico ad abbandonare definitivamente le sale). Resterà da vedere che forma prenderà il mito, ancora una volta, per riuscire a raccontare ancora a noi stessi meglio di come siamo in grado di fare nel silenzio della nostra razionale solitudine, sempre più orfana di riti e preghiere.
Marco Montanaro lavora come consulente di comunicazione. Si occupa di scrittura e di critica culturale, collaborando con riviste come «minima&moralia» e «Ludica» tra le altre. Il suo ultimo libro è Dalla parte di Chiara. Il caso Ferragni e la società incivile (Krill Books, 2024), scritto con Paolo Landi.
Calibano – L’opera e il mondo è la rivista del Teatro dell’Opera di Roma. Nata come spazio di approfondimento e di dibattito intorno a temi di attualità sollevati a partire dagli spettacoli in cartellone e realizzata in collaborazione con la casa editrice effequ, il progetto editoriale prevede, ogni quattro mesi, la pubblicazione e la diffusione nelle librerie italiane di un volume monografico dedicato a un titolo d’opera e a un tema ad esso collegato, attraverso la commissione di saggi, racconti e recensioni di firme autorevoli. In questo quinto numero, la rivista riflette sulle forme del Potere nella società contemporanea.
Potete acquistare “Calibano” sul sito di effequ a questo link, in libreria e presso lo shop del Teatro dell’Opera di Roma.
Le illustrazioni interne di questo numero, realizzate tramite software di intelligenza artificiale, sono di Katie Morris.