Molti tra noi, oggi, si dicono sicuri di essere liberi. E c’è chi sente, perciò, di doversi impegnare contro l’oppressione subìta da altri, più o meno lontani. Ma liberi lo siamo davvero? Già nella seconda metà del secolo scorso Michel Foucault ci metteva in guardia dalla necessità continua di doverci definire, di fatto fortemente limitante rispetto all’ampiezza delle potenzialità del soggetto. Ogni definizione porta con sé un’inevitabile normalizzazione, che per l’appunto è relativa all’attenersi alle regole, all’esserne dominati. Anche Gilles Deleuze nel suo scagliarsi contro la psicoanalisi freudiana ha cercato di ripensare l’inconscio non più come un groviglio di traumi da analizzare e – di nuovo – normalizzare, ma come un immenso e potentissimo propulsore di desideri, che non possono e non chiedono di essere spiegati o ingabbiati. Ne va della nostra integrità, forse anche della nostra felicità.
Più recentemente il filosofo coreano Byung-chul Han ha riflettuto sulla servitù neoliberale, notando che “viviamo una fase storica in cui la stessa libertà genera costrizione. Il soggetto che si crede libero, è in realtà un servo: è un servo assoluto nella misura in cui sfrutta sé stesso senza un padrone” (Psicopolitica, nottetempo). A venire dominata, oggi, è la nostra psiche. Vengono fissate pratiche di comportamento che noi accettiamo, rischiando di omologarci pur di non ritrovarci emarginati, anzi ‘bannati’, come avviene sui social. La tecnica attuale del dominio da un lato produce oggetti devozionali, come lo smartphone – proprio Byung-chul Han ci fa notare che ‘devoto’ significa ‘sottomesso’ – e dall’altro impone proibizioni e limitazioni che noi coscientemente accettiamo.
Chi rompe un tabù crea uno scandalo, chi supera il confine del proibito viene marginalizzato. Da sempre però chi afferma la sua libertà a dispetto dell’appiattimento sulle norme, delle implicite censure, della ricerca di approvazione, suscita negli altri stupore ma anche ammirazione. Ce lo ricorda la figura di Salome, che rifiuta di sottomettersi al potere disciplinare. Non ha paura di mostrare il suo desiderio, che è erotico ed eretico a un tempo: prima per un uomo santo, quindi proibito, e poi per la testa di lui mozzata, che chiede di ricevere su un vassoio d’argento e che, nel finale dell’opera di Richard Strauss, arriva a baciare in un’estasi di sensualità necrofila. Salome gode di una libertà che noi – adattati a un sistema calibrato sullo sfruttamento della nostra persona, dal quale sono espulsi errori, deviazioni e inefficienze – non conosciamo più. Certo superare il limite del proibito può essere pericoloso. La principessa di Giudea finisce schiacciata sotto gli scudi dei soldati del suo patrigno Erode. Ogni profanazione comporta un rischio, perché è la libertà stessa a essere rischiosa. Restare nella zona di comfort perimetrata dalle norme e dell’approvazione altrui può tradursi in un’esistenza senz’altro semplificata. Ma le grandi trasgressioni non conducono solo a una maggior libertà personale o a una piacevole pienezza vitale: agiscono come sfide in grado di rompere equilibri consolidati, portando a trasformazioni sociali utili per costruire mondi più aperti e inclusivi. In un processo già intravisto da Friedrich Hölderlin, che scrisse “lì dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva”.
Paolo Cairoli, direttore di Calibano
Calibano – L’opera e il mondo è la rivista del Teatro dell’Opera di Roma. Nata come spazio di approfondimento e di dibattito intorno a temi di attualità sollevati a partire dagli spettacoli in cartellone e realizzata in collaborazione con la casa editrice effequ, il progetto editoriale prevede, ogni quattro mesi, la pubblicazione e la diffusione nelle librerie italiane di un volume monografico dedicato a un titolo d’opera e a un tema ad esso collegato, attraverso la commissione di saggi, racconti e recensioni di firme autorevoli. In questo terzo numero, la rivista si interroga sul proibito partendo dalla figura di Salome, protagonista dell’opera di Richard Strauss.
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Le illustrazioni interne di questo numero sono di Emilia Trevisani.
La copertina è di Giulio Paolini (Foto Ⓒ Luca Vianello, Torino / Courtesy Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino / Ⓒ Giulio Paolini)